Il futuro incerto del delivery 🚴
Le difficoltà del settore delle consegne a domicilio e l'esplosione del mercato dei videogiochi
Ciao, bentornato su Technicismi. Non perdiamoci in chiacchiere e partiamo alla grande!
- Riccardo
🚀 La storia della settimana
Quale sarà il futuro del Q-commerce? 🛒
Nell’ultimo anno in Europa (e in Italia) c’è stato un boom di servizi che permettevano la consegna a domicilio della spesa in pochissimi minuti, molto più velocemente di qualsiasi servizio offerto da supermercati, dalle app di delivery (che ora si sono adattate a questo nuovo standard) e anche alla stessa Amazon Prime Now.
Questo nuovo settore, il Q-commerce, di cui abbiamo parlato nella puntata del podcast di Technicismi con Giovanni Cavallo (founder di Macai), funziona con un modello tutto nuovo: invece che appoggiarsi a ristoranti e supermercati terzi, questi servizi acquistano l'inventario, lo immagazzinano in locali sparsi per la città e poi imballano e consegnano rapidamente gli articoli alla ricezione dell’ordine.
E se da un lato questi servizi hanno portato a una crescita delle vendite, dall'altro i costi sono molto alti: i magazzini che sorgono spesso in luoghi strategici della città, l’advertisement per convertire i clienti e i rider che, per consegnare così in fretta la spesa, spesso sono assunti dall’azienda (a differenza, per esempio, dei tradizionali servizi di delivery). E in tutto questo, i prezzi dei prodotti sono allineati a quelli dei supermercati, piovono sconti tutte le settimane e molti servizi non prevedono nemmeno un ordine minimo.
Per esempio, Fridge No More, un'azienda New Yorkese fondata nel 2020, perdeva $3,30 su ogni ordine dopo che al carrello medio (di $33) venivano sottratti i costi per i prodotti, gli stipendi delle persone che li confezionavano, i fattorini, i rifiuti e le altre spese legate allo stoccaggio. Ah, tutto questo senza considerare i costi di marketing: per conquistare ogni singolo cliente l’azienda pagava in media $70 in pubblicità. A marzo l’azienda è fallita.
In realtà è possibile ridurre le perdite promuovendo prodotti sponsorizzati, prevedendo spazi pubblicitari nelle app, aumentando il carrello medio degli utenti vendendo articoli più costosi (come gli alcolici) e investendo in tecnologie che possano rendere più efficiente la gestione dei magazzini e delle consegne.
In ogni caso, questo è un modello di business “asset heavy” che richiede un sacco di capitale iniziale. Per poter raggiungere un profitto, infatti, è necessario crescere, crescere, crescere per poter conquistare la più grande fetta possibile di mercato e beneficiare di importanti economie di scala (da qui i grandi sconti settimanali di cui parlavamo prima). Nonostante questo, le startup di Q-commerce sembravano aver conquistato i grandi fondi di investimento: ad oggi, Getir e Gorillas hanno raccolto rispettivamente $1,8 e $1,3 miliardi (con una valutazione di $12 e di $3 miliardi).
Ora, però, come dicevamo la scorsa settimana, le cose stanno cambiando. L’incertezza di questi mesi fa sì che gli investitori riducano notevolmente la loro propensione al rischio, preferendo business più sicuri (e redditizi) ad altri più rischiosi (e che necessitano di moltissimi investimenti). E quindi Gorillas pare che non riesca a chiudere nuovi round di investimento e la settimana scorsa ha annunciato il licenziamento di 300 dipendenti. Così anche Getir e Zapp (un altro servizio non presente in Italia) che hanno deciso di licenziare rispettivamente il 14% e il 10% della loro forza lavoro. Ma non solo: Gorillas ha annunciato che uscirà da 4 mercati (tra cui l’Italia) mentre sempre Getir diminuirà la spesa per gli investimenti in marketing e rallenterà la propria espansione.
In realtà non è la prima volta che vediamo la nascita (e il finanziamento) di questo tipo di business. Alla fine degli anni ‘90, poco prima dello scoppio della bolla .com, Kozmo e Urbanfetch erano due tra le aziende più amate dai venture capital. Anche loro, però, hanno dovuto chiudere a causa delle perdite. Poi è stato il turno delle grandi aziende: eBay aveva lanciato un servizio di consegna in giornata che però è stato interrotto nel 2015. Amazon, con una delle logistiche più avanzate del mondo, prevede la consegna in giornata solo per clienti Prime, solo nelle zone di Roma e Milano e solo per ordini minimi di 29€.
In ogni caso, teoricamente, il business di questi servizi di Q-commerce potrebbe funzionare e diventare sostenibile. Ma lo scetticismo è ancora tanto. Tra l’altro, ora che la vita è tornata alla normalità (e non passiamo più il nostro tempo in casa) e che i prezzi di qualsiasi prodotto sono aumentati, una domanda sorge spontanea: quale sarà il futuro di questo settore?
📈 Il grafico della settimana
Questo qui sotto è il primo post che ho scritto per Will:
Con mia grande sorpresa fu uno dei post di Will che performarono meglio in quella settimana (e probabilmente, ad oggi, è uno dei post che ho scritto io che ha performato meglio). Si parlava di gaming e di come, negli ultimi anni, questo settore fosse in grandissima ascesa. Ora, le cose per chi lavora con i videogiochi sembrerebbero andare ancora meglio.
Dal nuovo report realizzato da data.ai emerge che il settore è destinato a raggiungere un valore di $222 miliardi entro la fine di quest’anno ed è principalmente trainato dal “mobile gaming”, cioè i videogiochi a cui si gioca da smartphone. In realtà questa cosa non sorprende: anche nella puntata del podcast di Technicismi dedicata a Gamindo, Nicolò Santin aveva detto che siamo tutti videogiocatori, anche chi non sa di esserlo e semplicemente apre Candy Crush per ammazzare il tempo.
E, a quanto pare, la pandemia stavolta non c’entra. Infatti, la crescita del mercato che ha caratterizzato gli altri principali strumenti con i quali si videogioca non è stata tanto importante quanto quella del mobile gaming. E anche nel 2022 si prevede un’ulteriore crescita che potrebbe portare questo mercato a valere più di 3 volte quello delle console. Probabilmente 10 anni fa, durante una partita a FIFA12, in pochi tra di noi avrebbero predetto uno scenario del genere!
Ma d’altra parte oggi gli smartphone sono molto più diffusi rispetto a pc da gaming o console e offrono un’esperienza di gioco e una grafica che non hanno niente da invidiare a quella di un computer o di una PlayStation. Addirittura esistono diversi “smartphone da gaming”, progettati proprio per restituire le migliori performance mentre si gioca (in ogni caso, comunque, chi li compra non è esattamente lo stesso tipo di gamer di chi gioca a Candy Crush per ammazzare il tempo).
E poi c’è un’altro mito da sfatare: i videogiochi non sono roba (solo) da uomini e sono sempre di più quelli che si rivolgono ad un pubblico in maggioranza femminile. Nel 2021 il 47% dei primi 1000 videogiochi nei quali gli utenti hanno speso di più era proprio rivolto ad un pubblico femminile (solo due anni fa questo dato era il 37%).
Infine, per quanto riguarda l’età, i GenZ (nati tra la fine degli anni '90 e i primi anni '10) sono la fascia d’eta più “monetizzabile” ma, proprio grazie alla “democratizzazione” del gaming portata dagli smartphone, sono sempre di più i GenX / Boombers che videogiocano e che sono disposti a fare transazioni all’interno dei giochi.
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Grazie Riccardo !! Anche questa settimana mi hai informato su notizie a me del tutto sconosciute. Continua così 💪🏻