La bolla è finalmente scoppiata? 🫧
Il futuro dei mercati e delle startup e l'esplosione dei podcast
Nelle ultime settimane ho sperimentato un po’ con la struttura di questa newsletter e ho ricevuto diversi feedback. Tu cosa preferisci: un solo approfondimento un po’ più lungo oppure tante piccole notizie meno approfondite? Per l’occasione ho preparato un sondaggino, mi farebbe molto piacere se lo compilassi (è davvero breve e lo trovi cliccando qui)
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- Riccardo
🚀 Le storie della settimana
È davvero la fine di un’era? 🚀
Alla fine è successo davvero. L’aria sta cambiando e qualcuno dice che la bolla è scoppiata.
Negli ultimi mesi il mercato azionario è stato estremamente volatile e i titoli delle grandi aziende tech ne hanno risentito moltissimo: le azioni di Meta a Febbraio hanno perso il 27% del loro valore in un solo giorno, quelle di Netflix ad Aprile hanno registrato un -40% in due giorni e proprio martedì lo stesso destino è capitato a Snap. Le ragioni di questa grande volatilità, oltre al non raggiungimento degli ottimistici obiettivi di crescita previsti dagli analisti, sono legati ad un’aria generale di incertezza tra aumento dell'inflazione, politiche monetaria più restrittiva per combatterla, guerra in Ucraina e vecchie e nuove pandemie all’orizzonte.
In realtà la retorica della “bolla che finalmente scoppia” va avanti da anni. Si fa sempre riferimento a quello spaventoso periodo che seguì lo scoppio della .com, quella si una vera bolla, quando sembrava non esserci un limite agli investimenti in progetti tech, indipendentemente dalla loro sostenibilità economica. Ma poi, alla fine, nessuno si aspetta davvero lo scoppio della bolla. Sono quelle cose che si dicono sperando che non accadano mai.
In questi giorni, però, si è tornati a parlare di bolla. La ragione è che effettivamente qualcosa sta accadendo: YCombinator, il più grande acceleratore di startup della Silicon Valley, ha inviato una lettera alle proprie startup nella quale le invita a “prepararsi per il peggio” e a “cambiare i piani perché le probabilità di successo sono ora davvero basse” e dal futuro ci si potrà aspettare “valutazioni più basse, round di investimento di dimensioni inferiori e molti meno deal”. Questa settimana, poi, Klarna ha annunciato il licenziamento del 10% della sua forza lavoro. Contemporaneamente, Gorillas ha dichiarato che licenzierà circa 300 dipendenti ed uscirà da quattro mercati (tra cui quello italiano).
In effetti nessuno si aspettava questo tipo di annuncio da parte di Klarna, ad oggi la startup di maggior valore in Europa con una valutazione di $45,6 miliardi (ma che pare stia cercando di chiudere un nuovo round di finanziamento a circa 2/3 dell’attuale valutazione, un segnale non proprio positivo). E men che meno da Gorillas, l’azienda più veloce a raggiungere lo status di unicorno (cioè una valutazione superiore al miliardo di dollari) che in un solo anno ha raccolto poco più di un miliardo di euro in finanziamenti e assunto 14.000 dipendenti.
Qualcosa sta cambiando: fino a qualche settimana fa gli investitori erano disposti a investire miliardi di dollari in startup con business model non sostenibili nel breve termine. Gorillas era una di queste: per poter essere un business profittevole, era necessario crescere molto in fretta per poter dominare grandi mercati e favorire delle economie di scala. Nonostante sicuramente negli ultimi anni questo trend si sia accentuato (e, per alcuni, questo modo di fare impresa non avesse mai avuto alcun senso) è esattamente così che sono nate tanti grandi colossi che oggi dominano il settore della tecnologia (Amazon, che è andata incontro a grossissime perdite per anni, è probabilmente l’esempio migliore).
Ora ci troviamo in condizioni di mercato molto diverse rispetto a quelle vissute da Amazon (o Netflix) e magari, questa volta, la bolla è scoppiata davvero. E forse, addirittura, come scriveva dieci giorni fa il WSJ “for tech startups, the party is over”.
Ma ci sono sono due punti di vista che è interessante considerare. Il primo l’ho letto all’interno della newsletter di Packy McCormick (conosciuto nel settore come un grande ottimista): le bolle tech, a differenza di quelle finanziarie o di quelle immobiliari, creano valore perché, comunque, generano innovazione. E poi c’è un’altra considerazione sulla quale soffermarsi: questi massicci licenziamenti, nonostante il disagio che creano, provocheranno una grande riorganizzazione del talento all’interno del settore che porterà ad ulteriore innovazione. D’altra parte si tratta di lavoratori skillati (assunti da una tech company, dove la competizione è davvero alta) ma che probabilmente erano impiegati in progetti o avevano mansioni “sacrificabili” dall’azienda. Per altri, invece, questo periodo rappresenterà uno stimolo alla creazione di nuove imprese: come scrive Paul Graham, founder di YCombinator, in uno dei suoi articoli più celebri, pubblicato ad Ottobre 2008 (un periodo piuttosto complicato per l’economia) “a recession may not be such a bad time to start a startup”. Da lì a pochi mesi sarebbero nate WhatsApp, Uber, Instagram, Groupon, …
📈 Il grafico della settimana
Tra il 2018 e il 2021 la crescita del numero di podcast è stata più veloce di quella dei siti web tra il 1999 e il 2001, in piena bolla .com. Praticamente, ormai ci sono più podcast che ascoltatori: basti pensare che negli ultimi anni, gli utenti di Spotify sono cresciuti dell'84%, mentre il numero di podcast disponibili è aumentato del 1630%.
Con Will ne abbiamo lanciati già 10. E la scorsa settimana è anche uscito Connessi, il podcast di Euronics in collaborazione con Will che conduco io. Ah, e pure Carlo, il mio coinquilino durante l’Università, e Francesco hanno recentemente lanciato il loro podcast “Supposte di conoscenza”. E poi, ovviamente, c’è il podcast di Technicismi.
Il risultato? Per gli ascoltatori è sempre più difficile scoprire qualcosa da ascoltare. Per i podcaster, invece, è più difficile trovare una nicchia per la quale fare un podcast.
Le ragioni che hanno guidato questa crescita non sono solo legate alla facilità di realizzare un podcast (oltre che essere semplice è pure gratis) ma sono pure guidate dalla crescita degli ascoltatori: nell’ultimo mese un italiano su tre ne ha ascoltato uno. La maggior parte (l’81%) li ascolta a casa, ma c’è chi li ascolta anche in mobilità (macchina 29%, mezzi di trasporto 19%). In ogni caso, nell’80% dei casi vengono ascoltati mentre si sta facendo dell’altro.
Ormai i podcast sono diventati veri e propri motori di ricerca: il 34% ne ha ascoltato uno cercando online un argomento di interesse; il 25% l’ha ascoltato perché glielo hanno consigliato amici o parenti e un altro 25% perché ne ha sentito parlare sui social.
E poi c’è un ultimo, fondamentale, ingrediente. Il 71% di chi ascolta messaggi pubblicitari abbinati a un podcast li ricordi con più facilità. Ma non solo: il 47% degli utenti podcast ricorda non solo di aver ascoltato messaggi pubblicitari abbinati a podcast ma di aver pure compiuto un’azione correlata. Un paradiso per i brand.
Insomma, il pubblico dei podcast sta diventando più maturo (il 44% degli ascoltatori appartiene alla fascia “under35” ma solo il 16% sono studenti) e più ricettivo. Il podcast, inoltre, sta diventando uno strumento sempre più accreditato anche tra i professionisti e i dirigenti.
Siamo davvero di fronte a una delle più grandi e importanti novità della comunicazione mondiale degli ultimi anni.
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