Ciao, che bello rivederti! Oggi troverai un The Review a cura di Francesco Marino (Pillole di Futuro Presente) per parlare delle scelte di moderazione di Meta sui contenuti politici (nell’anno in cui la metà del mondo andrà al voto). Che ne pensi?
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E ora partiamo!
- Riccardo
🔎 The Review
di Francesco Marino (Pillole di Futuro Presente)
“Non vogliamo amplificare proattivamente contenuti politici da account che non segui”. Il post su Threads, a firma Adam Mosseri, è chiaro e racconta un cambio di strategia. Instagram, dice il suo numero uno, vuole fare un passo indietro dalla politica. E smettere, quindi, di dare rilevanza tramite il suo algoritmo a contenuti che riguardano temi sociale e politici.
L’annuncio è dello scorso febbraio. In questi mesi, Meta ha lavorato per implementare queste novità che, oggi, sono attive negli Stati Uniti e presto lo saranno anche da questa parte dell’Oceano, Italia compresa. Nelle scorse settimane, agli utenti americani è comparsa un’opzione, nella categoria “Contenuti suggeriti” delle impostazioni di Instagram. Da qui, si può scegliere se ricevere o meno suggerimenti di post o reel che riguardano la politica. Di base, la spunta è su “no”.
Il cambiamento è stato molto criticato fin dai tempi del suo annuncio. Perché, in fondo, è una mossa politica: il conflitto a Gaza ha reso molto evidente le difficoltà di Meta nel regolare il proprio spazio, tra shadow-ban e moderazioni di dubbia efficacia. A questo punto, avranno pensato a Menlo Park, meglio uscire proprio dal gioco: lasciamo la politica ai pochi che dimostreranno un interesse, così è anche meno pericoloso in termini di reputazione.
In questi giorni, negli Usa, gli utenti stanno sperimentando gli effetti di questo cambiamento. Tanto che un gruppo di creator, supportati dall’organizzazione Accountable Tech, ha scritto una lettera aperta a Meta, chiedendo di fare un passo indietro.
“Molti di noi – si legge nel documento - forniscono contenuti autorevoli e fattuali su Instagram che aiutano le persone a comprendere gli eventi e contribuiscono all’impegno civico e alla partecipazione elettorale. Instagram sta limitando la nostra capacità di raggiungere le persone online per contribuire a promuovere una democrazia e una società più inclusive e partecipative durante un momento critico per il nostro paese”.
Il punto non riguarda le scelte di un’azienda privata, seppur con funzioni molto vicine a quella di un’organizzazione pubblica. Riguarda, più che altro la definizione di temi politici. Quella di Meta è piuttosto vaga e sembra includere anche argomenti di impegno sociale.
O, addirittura, identità personali, che diventano politiche perché sono oggetto di dibattito pubblico. In un articolo sul Washington Post, Taylor Lorenz racconta che, in effetti, a essere penalizzati maggiormente dalla nuova impostazione di Instagram, oltre a giornalisti e giornaliste indipendenti, sono creator donne, neri/e, disabili e appartenenti alla comunità LGBTQ+.
Perché la questione, appunto, riguarda il modo in cui si definisce la politica: Meta, che utilizza per la moderazione strumenti di intelligenza artificiale, sembra intenderla come qualunque cosa sia controversa, oggetto di un qualche genere di dibattito pubblico. Ma così si riduce l’accesso al mondo in un social network che, solo nel nostro Paese, ha circa 30 milioni di utenti attivi. Persone, negli anni, hanno imparato a utilizzare la piattaforma per qualunque cosa: dall’intrattenimento all’informazione, fino all’attivismo.
La soluzione, secondo la lettera aperta, è dare più possibilità di scelta agli utenti. “Invece di cambiare unilateralmente le impostazioni predefinite – conclude l’appello -.
Sollecitiamo Meta a dare agli utenti l’autonomia di regolare il proprio algoritmo rendendo l’impostazione per limitare i contenuti politici una scelta facoltativa dell’utente, piuttosto che predefinita”.
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🏦 I “finanzismi” del mese
Da dove nasce una recessione
A partire dalla fine del 2022 si è scatenato un forte dibattito sullo stato di salute dell’economia. Una parola in particolare è risuonata più forte delle altre: “recessione”.
La recessione è una fase dell'economia in cui diversi indicatori economici (la produzione industriale, l'occupazione, la spesa dei consumatori, …), subiscono una riduzione, traducendosi in una diminuzione prolungata della crescita economica.
Nel corso degli anni gli economisti hanno elaborato teorie per stabilire quando un paese sia formalmente in recessione. Tra i vari sistemi proposti, quello che ancora oggi viene utilizzato è il metodo presentato dall’economista Julius Shiskin in un articolo sul New York Times del 1974. Shiskin suggerì di prendere come parametro l’andamento trimestrale del prodotto interno lordo (cioè il valore di tutti i beni e i servizi prodotti da un paese): se si registrano due trimestri consecutivi di contrazione, allora il paese si trova in recessione.
Quali sono le cause di una recessione?
Le recessioni possono essere causate da diversi fattori. Uno dei principali è la diminuzione della domanda aggregata, ovvero la quantità di beni e servizi che le persone, le imprese e i governi sono disposti ad acquistare. Questa diminuzione della domanda può essere causata da una serie di motivi, tra cui la riduzione della fiducia degli investitori, dazi e tariffe commerciali che limitano il commercio internazionale, o la diminuzione della spesa dei consumatori.
Ci sono poi i casi più estremi di recessione, quelli dovuti alle crisi bancarie, alle bolle del mercato immobiliare o al peso eccessivo del debito pubblico.
Gli effetti collaterali della recessione sul mercato
Il verificarsi di una recessione impatta anzitutto sulle aziende. Durante una recessione, le imprese tendono a ridurre la produzione, a limitare gli investimenti e a effettuare tagli dei costi (il che comprende anche dei licenziamenti). La recessione riduce inoltre la capacità delle imprese di ottenere finanziamenti per nuovi progetti di sviluppo, rischiando di portare l’economia in una fase di stagnazione.
L’aumento della disoccupazione, a sua volta, intacca la spesa dei consumatori, poiché le persone hanno meno reddito disponibile per l'acquisto di beni e servizi, o perché preferiscono accantonare i risparmi in eccesso in vista di potenziali risvolti negativi. Questo crea un circolo vizioso, contribuendo a generare una contrazione economica.
Come si combatte una recessione
Per uscire da una recessione non c’è un’unica ricetta. Molto dipende dalla gravità della recessione, dalla sua estensione e dall’orientamento di governi e istituzioni.
Le politiche economiche, come la politica fiscale e monetaria, vengono spesso utilizzate dai governi per cercare di contrastarne gli effetti negativi. Ad esempio, i governi possono aumentare la spesa pubblica o ridurre le imposte per stimolare la domanda e l'attività economica.
Le banche centrali possono invece ridurre i tassi di interesse per incentivare gli investimenti e incoraggiare la spesa dei consumatori.
Infine, la recessione può essere limitata in maniera preventiva riducendo l’interdipendenza tra paesi ed evitando che la crisi o lo stallo di uno stato porti alla crisi o allo stallo di altri.
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Nella prima metà del 2022 Instagram ha generato il 30% delle revenues di Meta. I ricavi dell’app nel 2021 sono stati di $32,4 miliardi, un’incredibile successo se pensi che Facebook l’ha acquisita per un solo miliardo di dollari.
La lettera agli investitori di Andy Jassy, il CEO di Amazon (che porta avanti una tradizione decennale di Jeff Bezos). Si parla naturalmente tanto di AI generativa, definita “la più grande trasformazione tecnologica dopo il cloud (che a sua volta è ancora in fase iniziale) e forse dopo Internet"
Ma a chi interessa davvero la regolamentazione del settore tech?
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