Ci siamo! È finita una settimana di Sanremo davvero tosta (per noi) ma con dei numeri incredibili (per loro): addirittura giovedì la playlist più ascoltata su Spotify a livello globale è stata quella di Sanremo, meraviglioso! E a proposito di Spotify, le cose per l’azienda vanno alla grande: i ricavi sono aumentati del 16%, gli abbonati premium del 15% (236 milioni) e i ricavi da pubblicità del 12% (€501 milioni).
Oggi troverai la prima puntata di The Review: la nuova rubrica in cui, una volta al mese Francesco Marino (Pillole di Futuro Presente) commenta un long read o un articolo interessante su uno dei grandi temi del nostro tempo.
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E ora partiamo!
- Riccardo
🔎 The review
di Francesco Marino (Pillole di Futuro Presente)
Quasi un anno fa, un articolo di Cory Doctorow compariva su Wired, nell’edizione statunitense. Raccontava del processo di enshittification di TikTok. Di come, insomma, come tutte le altre piattaforme digitali, quella di ByteDance fosse nata permettendo a un numero molto ampio di persone di raggiungere un pubblico vasto, grazie al suo algoritmo. Di come poi, col tempo, le cose fossero cambiate: più bassa la reach, più alta la necessità di acquistare visibilità tramite la pubblicità. Del resto, è il modello di business, bellezza.
Non è una novità, secondo Doctorow: tutte le piattaforme digitali nascono con le migliori intenzioni. Queste migliori intenzioni, questa killer application potremmo chiamarla, permette loro di attirare utenti. Ma il modello di business delle piattaforme digitali non è accumulare nuovi profili, è vendere pubblicità. Dopo un po’, l’obiettivo diventa evidente, la piattaforma peggiora e l’enshittification è inevitabile.
Parto dal pezzo di Doctorow perché mi sembra che quell’articolo, pubblicato a gennaio 2023, abbia contribuito molto a creare un certo clima intorno al web e ai social network lo scorso anno. Ne abbiamo lette di ogni tipo: Internet non è più divertente, i social media sono morti. In questo ultimo anno, molti analisti, me compreso (è sempre importante assumersi le proprie responsabilità), hanno parlato della fine dei social network, di un web diverso, diventato una sorta di nuova televisione.
Ma se fossimo solo invecchiati?
È una provocazione che arriva da un pezzo di Max Read, pubblicato sul New York Times. E che dice, in sostanza, che il 2023 è stato l’anno in cui i millennial hanno definitivamente perso il “controllo” di Internet. Che è ancora più o meno com’era prima, solo diverso, con linguaggi, sottoculture e spazi differenti. È il primo cambio generazionale della storia del web 2.0, se ci pensate. Forse è così. Un altro articolo uscito su Wired paragona il web alla percezione che gli americani hanno degli sketch del Saturday Night Live. E, in altre parole, a quella tendenza familiare a molti di considerare il passato con nostalgia, sempre e comunque migliore rispetto a quanto disponibile nel presente.
“Sostenere – scrive Kate Knibbs nel pezzo - che il divertimento sia finito è assumere una posizione troppo nostalgica, che si basa su una fallacia patetica: solo perché non ti stai divertendo non significa che Internet sia morto. È quello che è sempre stato, uno specchio imperfetto del momento culturale. Non c’è niente di male a non apprezzarlo. Ma non si può negare che ci siano giovani che in questo momento si stanno divertendo come non mai online”.
Di recente, Adam Mosseri ha scritto su Threads che il calo nel numero di post pubblicati su Instagram non vuol dire che gli utenti usino meno la piattaforma. Solo lo fanno in modo diverso, usando per esempio storie e messaggi privati, su tutto. A essere cambiata sembra soprattutto l’attitudine a pubblicare nel feed, attività che, su tutte, aveva caratterizzato la prima ondata dei social network.
In un articolo uscito alla fine dello scorso anno, il Wall Street Journal ha analizzato questa tendenza. “Le ragioni – si legge nel pezzo - sono varie: gli utenti sentono di non poter controllare quello che vedono. Sono diventati più protettive nel condividere la propria vita online”.
In questo contesto, a funzionare sono quelli che qualcuno chiama falò digitali: ovvero, per farla semplice, tutti quegli spazi al riparo da un pubblico più ampio, dalle applicazioni di messaggistica fino ai gruppi Facebook o Discord, che consentono di raggruppare persone accomunate da interessi simili.
Insomma, qualcosa è cambiato nel modo in cui gli utenti usano il web. Ma questo non significa che Internet sia morto. Anzi. In un articolo comparso su Rolling Stone, Anil Dash prevede un futuro molto divertente per la rete, proprio per la crisi delle piattaforme digitali così come le abbiamo conosciute fino ad oggi: “Non ci sarà un’alternativa buona a Google, Facebook o Twitter. Ma è perché non dovrebbe esserci. Dovrebbero esserci molte esperienze diverse, a misura d'uomo, che offrano alternative su misura, a chilometro zero, da scegliere al posto del cibo spazzatura proposto dalle grandi piattaforme”.
🔥 Le news della settimana
Questa è la vera notizia della settimana: Adam Neumann, il cofondatore di WeWork che
si è dimessoè stato cacciato nel 2019, sta ora cercando di ricomprare l'azienda dalla bancarotta. Sotto la sua guida, WeWork era arrivata a valere $47 miliardi (sulle false convinzioni di essere una tech company), poi le cose sono cominciate ad andare sempre peggio e qualche mese fa ha presentato istanza di fallimento, dichiarando debiti per quasi $20 miliardi. Ne abbiamo parlato, con qualche altra considerazione, anche nell’ultimo episodio di Actually.Sam Altman, CEO di OpenAI, starebbe parlando con alcuni investitori per raccogliere $7000 miliardi (SETTEMILAMILIARDI?!) per finanziare una nuova iniziativa (una partnership tra OpenAI, produttori di chip, fornitori di energia e governi) volta ad espandere la capacità produttiva mondiale per la produzione di semiconduttori per l'AI, risolvendo uno dei principali colli di bottiglia che ostacolano la crescita di OpenAI.
Giovedì Google ha annunciato il rebranding di Bard in Gemini. E poi ha pure lanciato il suo modello di punta di intelligenza artificiale conversazionale, Gemini Ultra, ma lo renderà disponibile solo attraverso un abbonamento da $20 / mese. Nonostante il prezzo sia lo stesso che OpenAI applica alla versione più potente di ChatGPT, Google sostiene che le prestazioni di Gemini Ultra siano già superiori a quelle di GPT-4.
Un po’ di numeri che mi hanno colpito questa settimana:
YouTube TV, il servizio di streaming in abbonamento, ha superato gli 8 milioni di abbonati e il 45% delle visualizzazioni di YouTube negli Stati Uniti avviene su schermi televisivi. Sundar Pichai, il CEO di Google, ha dichiarato che "YouTube è il motore principale dei nostri ricavi da abbonamento"
Nonostante non si abbiano numeri assoluti, Apple TV+ è il servizio che guida la crescita della unit dei servizi di Apple (che nell’ultimo trimestre sono cresciuti dell'11%), superando quelli di Apple Store
Spotify nel 2023 ha distribuito $9 miliardi all’industria musicale a livello globale, mentre YouTube, negli ultimi 3 anni, ha distribuito $70 miliardi ai creator sulla piattaforma
Disney ha investito $1,5 miliardi per una quota di Epic Games, lo sviluppatore di “Fortnite”, uno dei videogiochi più popolari al mondo. È il primo passo dell’azienda nell’industria del gaming, un settore su cui il CEO Bob Iger dice di voler puntare moltissimo per il futuro. Grazie all’accordo, i personaggi Disney (tra cui quelli di Marvel, Star Wars, Pixar e Avatar) potranno finire in "Fortnite" e le due aziende collaboreranno per creare nuovi giochi e un "universo di intrattenimento" a marchio Disney all'interno di "Fortnite".
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