Ciao, è da ormai 6 mesi che ho messo in pausa questa newsletter. La verità è che, dopo quasi 5 anni, avevo bisogno di un po’ tempo per ripensare alla direzione che volevo darle e al suo contenuto.
Da poco più di un anno, tutte le settimane conduco Actually, il podcast di Will Media in cui insieme a Riccardo Haupt ogni settimana parliamo di cambiamento, business e innovazione. Spesso quindi mi trovavo a trattare gli stessi temi sia qui che lì creando un’inutile sovrapposizione.
Ma questo è un progetto a cui sono troppo affezionato e ora voglio riprenderlo. A partire dalla prossima settimana, quindi, ricomincerai a ricevere Technicismi. Al suo interno troverai una raccolta di tutto quello che ho letto, guardato, ascoltato, imparato ogni settimana.
Per le analisi, le riflessioni e tutta l’attualità del settore tech, invece, potrai ascoltare Actually ogni mercoledì e sabato. Tra l’altro, proprio in questi giorni abbiamo pubblicato tre puntate di “predictions 2025” molto interessanti: Economy, Media e Tech.
Come sempre, se la newsletter ti piace, puoi lasciare un cuore qui sopra e condividerla con chi pensi possa trovarla interessante.
Ci risentiamo presto,
- Riccardo
Il record dell’economia USA 📈
Nel 2024 c’è stato un enorme interesse per il mercato azionario USA e in particolare per gli ETF, fondi scambiati in Borsa che replicano l’andamento di indici azionari, obbligazionari o di materie prime e che spesso rappresentano il primo approccio di un investitore in Borsa perché sono una soluzione semplice, economica e che permette una facile diversificazione.
Quest’anno, il numero di ETF presenti sul mercato ha raggiunto la cifra record di 1.485 e il loro mercato globale è cresciuto fino a superare i $15.000 miliardi di asset in gestione.
Uno tra gli ETF più scambiati sul mercato è lo S&P500, l’indice che riunisce le 500 aziende americane per capitalizzazione di mercato, che, dopo due anni di stabilità, a gennaio ha raggiunto un nuovo massimo. E poi l’ha superato. E poi è successo di nuovo. E ancora una volta.
Nel 2024 l’indice ha raggiunto nuovi massimi più di una volta a settimana.
L’aumento è stato causato soprattutto dalle performance delle Magnificent Seven: Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla. E questo, sta diventando un problema.
Chiariamo subito: non è la prima volta che l’indice è così sbilanciato verso un numero ristretto di aziende. Negli anni ’80, giganti come IBM, Exxon e General Electric dominavano il mercato ma mai con l’intensità con cui i colossi tech lo stanno facendo oggi. E quando un indice è trainato da poche aziende c’è un rischio: può crescere anche se la maggior parte delle società vanno nella direzione opposta.
Come ha scritto Chamath Palihapitiya su X in questi giorni, l’ETF che replica l’andamento dello S&P500 è diventato molto popolare negli ultimi anni. Questo successo è dovuto in parte ai consigli di Warren Buffett, che lo include nelle sue strategie di investimento, e in parte ai bassi costi e alla promessa di ampia diversificazione tra le 500 società più grandi del mondo: più diversificazione, meno rischi.
Ma ora i rischi, invece di diminuire, aumentano! Acquistando l’ETF S&P500, di fatto si investe per lo più in 10 società dominanti con le altre 490 in secondo piano. In un mercato volatile questa scarsa diversificazione potrebbe portare a grandi perdite. La soluzione proposta da Chamath è di imporre un limite massimo alla percentuale che un singolo titolo può rappresentare all’interno dell’indice.
E poi c’è un altro problema.
Gli Stati Uniti ad oggi sono oggi il pool di capitale e liquidità più grande al mondo e la Borsa statunitense, di conseguenza, è diventata la più attraente. Secondo il il report Global IPO Trends 2024 di EY, il numero di IPO in USA è aumentato da 150 a 205, e sempre di più società, soprattutto europee, guardano all’opportunità di quotarsi negli Stati Uniti.
Nel 2025 quindi, dovremo porci una grande domanda: quale sarà il futuro delle Borse nel resto del mondo?
L’anno della rinascita di Meta (e Zuckerberg) 🕶️
Il 2024 è stato un anno di profonde trasformazioni per l’azienda di Zuckerberg (e per Zuckerberg stesso). Mi sono chiesto quale grafico potesse rappresentare al meglio questo cambiamento e credo che il migliore, in questo caso, sia quello sull’andamento delle valore delle azioni, che vedi qui sopra. Il valore in Borsa di un’azienda rappresenta infatti una “scommessa” degli investitori sul suo futuro: non a caso Meta è stata una dei best performer del 2024.
L’azienda ha presentato il rebrand da Facebook a Meta a Ottobre del 2021, in piena “bolla” da Metaverso. Un anno dopo, con l’hype intorno al metaverso decisamente sgonfiato, una singola azione era arrivata a valere meno di $100: per molti analisti l’azienda aveva perso la sua capacità di innovare e di inventare il futuro, puntando su un “tecnologia” che si era rivelata più una buzzword che un trend. La fiducia verso il brand aveva raggiunto i minimi storici.
Oggi, a distanza di soli 2 anni (e dopo un year of efficiency) il valore delle azioni è arrivato a valere $600.
Il rebrand aveva lo scopo di posizionare Meta come l’azienda del futuro, in grado di sfruttare le nuove tecnologie (AR, VR, AI, etc) per connettere le persone. E oggi sembrano perfettamente posizionati per farlo. Meta ha:
3,29 miliardi di persone che utilizzano ogni giorno almeno uno dei suoi servizi (Facebook, WhatsApp, Instagram o Messenger)
costruito il miglior modello (e uno dei più usati) di AI open-source, LLama, che tra le altre cose alimenta MetaAI (ad oggi non ancora disponibile in Italia) ma che presto verrà integrato in tutte le app di Meta aumentandone la portata e le capacità
presentato Orion, il primo vero prototipo di occhiale in realtà aumentata, il più credibile passo verso il superamento dell’iPhone come piattaforma di riferimento
E poi apriamo il capitolo del fondatore.
Oggi Zuckerberg è l’unico fondatore di una GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) ad esserne ancora alla guida. E il 2024, per lui, ha rappresentato un nuovo inizio, con un cambio radicale del approccio al personal branding. È passato dall’immagine del nerd, intimorito in giacca e cravatta di fronte al Senato USA pronto a metterlo sotto accusa, a quella di una figura più presente e disinvolta. Online, soprattutto su Instagram ha cominciato a condividere momenti della sua vita privata: dal concerto di Taylor Swift agli allenamenti di Ju Jitsu (passando da 29 post nel 2021 a 71 nel 2024). E pure offline: ha partecipato a un’intervista live su Acquired (il podcast più in hype nel mondo business e tech), ospitata al Chase Center di San Francisco, dove si è presentato con una maglietta con scritto Pathei Mathos (greco per “imparare attraverso la sofferenza”). Poco dopo, al Meta Connect, l’evento dedicato alle novità dell’azienda ha indossato un’altra maglietta simbolica: Aut Zuck aut nihil (“o Zuck o niente”).
L’anno della rinascita.
YouTube is the new Netflix. O viceversa? 📺
Il 2024 è stato un anno straordinario anche per Netflix. Dopo gli scioperi di Hollywood nel 2023, che avevano rallentato la produzione di nuovi contenuti, in molti pensavano che ci sarebbe stata una crisi. Mancanza di nuovi programmi significa aumento del churn e calo di nuovi iscritti: questo era lo scenario previsto per i servizi di streaming, Netflix incluso.
Fast forward: Netflix ha aggiunto oltre 20 milioni di nuovi abbonati durante quest’anno.
Ma c’è una sfida che trovo ancora più interessante della continua crescita degli iscritti: la battaglia contro YouTube.
All’inizio dell’anno, Neal Mohan, CEO di YouTube, ha pubblicato una lettera aperta con le quattro grandi scommesse della piattaforma per il 2024. Al terzo posto: “La prossima frontiera di YouTube è il televisore”.
Strano, considerando che il “video” è sempre stato legato a smartphone e tablet, dove viene ancora consumato di più. Ma per Google, i numeri già incredibili di YouTube su questi supporti non bastano. Vogliono puntare al televisore e lo stanno facendo con una interfaccia completamente nuova, rendendola molto più simile a… Netflix. Sembra un paradosso: invece di rendere Netflix più simile a YouTube, è YouTube che copia Netflix. I canali diventeranno le nuove serie TV, organizzate per stagione ed episodio.
Ad oggi YouTube fa già numeri spaventosi sulle tv: gli utenti guardano più di 1 miliardo di ore di contenuti YouTube sui televisori ogni giorno e nel 2023, secondo Nielsen, YouTube è stato il leader assoluto nel tempo di visione in streaming negli Stati Uniti. Ma per Google non basta: vogliono migliorare ancora, prendendo spunto dalle scelte di design di Netflix.
E qui arriva la grande domanda per Netflix. Dal 2012, quando ha lanciato il suo primo original, ha speso oltre $120 miliardi in produzioni originali. YouTube, nello stesso periodo, ne ha spesi $0.
Oggi, molte produzioni di YouTube, anche italiane (penso a Progetto Happiness), hanno una qualità paragonabile a quella delle piattaforme streaming a pagamento.
Nel 2025, le piattaforme di streaming dovranno chiedersi: e se il miglior contenuto originale fosse su YouTube?
Non escluso che dal prossimo anno cominceremo a vedere sempre più accordi tra i creator e le piattaforme di streaming. In realtà l’abbiamo già cominciato a vedere in queste settimane, con l’accordo tra MrBeast, lo YouTuber più grande al mondo, e Amazon Prime Video. I “Beast Games” non sono altro che un “normale” video di MrBeast riadattato per una piattaforma di streaming. Di certo, accordi di questo tipo potrebbero essere meno costosi delle produzioni originali su cui investe Netflix da anni, non solo dal punto di vista della produzione ma pure da quello della promozione.
Bitcoin to the moon 🚀
Quest’anno, insieme a Riccardo Haupt e Guido Brera, ho partecipato alla mia prima Bitcoin conference (il racconto lo trovi in questo episodio di Actually). Siamo partiti aspettandoci di trovare nerd, anarchici e startup dall’affidabilità discutibile. Ci abbiamo trovato uomini in giacca e cravatta, politici e BlackRock.
L’anno scorso scrivevo qui su Technicismi che:
Il 2024 potrebbe essere l’anno del consolidamento. Ormai Bitcoin sta diventando un’asset class sempre più presente all’interno dei portafogli degli investitori (e secondo alcuni, l’interessamento delle più grandi banche di investimento la rendono di fatto too big too fail)
Nessuna sfera di cristallo, la direzione era sicuramente quella. Ma di certo, dopo un 2023 da record con un rialzo di oltre il 160% e una performance superiore a quella di tutti i principali asset tradizionali, il 2024 è stato un anno memorabile, con lo sfondamento, per la prima volta, della soglia psicologica dei $100k.
Nell’aumento del prezzo, 3 fattori sono stati dominanti:
L’halving di Aprile, cioè il meccanismo pensato dimezzare il numero di nuove monete che entrano nella rete (e quindi creare una scarsità artificiale della moneta)
L’approvazione dei primi ETF su Bitcoin, l’11 gennaio 2024. Da un lato la presenza di un ETF su Bitcoin rappresenta la possibilità per tutti di investire sull’andamento di questo asset attraverso i circuiti della finanza tradizionale, considerata più facile e più sicura. Dall’altro, è il definitivo salto della finanza tradizionale sull’ultima carrozza di un treno che è partito tempo fa ma che rappresenta ancora un’opportunità troppo grande per non essere colta
Ah, e poi c’è stato “l’effetto Trump”, che ha annunciato di voler trasformare gli Stati Uniti nella “crypto capital” del pianeta. La sua elezione, naturalmente, ha causato euforia nel settore e dato un ulteriore impulso al prezzo.
E ora?
Bella quest’AI eh, ma che ci facciamo? 🤖
Questo è il grafico di apertura dell’annuale presentazione che Benedict Evans, analista tech, prepara ogni anno per raccontare lo stato del settore tech (qui trovi il suo tradizionale keynote a Slush).
Rappresenta il numero di persone nel mondo che, a due anni dal lancio, utilizzano o hanno sentito parlare di ChatGPT e mostra un tasso di adozione davvero unico per una nuova tecnologia (di certo il fatto che sia un sito web e non un dispositivo hardware lo rende molto più accessibile).
Evans, però, collega questo dato a quello sulla frequenza di utilizzo e qui il quadro cambia completamente: la maggior parte delle persone ha usato ChatGPT una sola volta per poi non tornare più.
Siamo quindi in questo strano momento in cui sono tutti estremamente entusiasti di questa tecnologia… ma non la usano. Il problema è che, per quanto la tecnologia sia avanzata, serve un vero caso d’uso.
Oggi questa tecnologia è confinata in un’app sui nostri smartphone o accessibile online tramite un URL (per quanto “immediato”) e questo ne limita il potenziale. Ma l’annuncio di Apple Intelligence (che integra ChatGPT) o l’implementazione graduale in altre app, come quelle di Meta potrebbe cambiare le cose.
Il 2025 dovrà essere l’anno in cui, da tool, l’AI generativa diventerà sistema operativo.
OpenAI, nel farlo, sta continuando la sua evoluzione da azienda no profit a impresa a scopo di lucro, alla ricerca del suo product market fit. Negli ultimi mesi, ha iniziato a testare nuove funzionalità come la ricerca online, un sistema di riassunto e raccomandazioni per editori, una partnership con gli smartphone Samsung e persino un browser web.
Ma sembra essere Google, in questo momento, meglio posizionata per raggiungere l’obiettivo. L’azienda, al contrario delle altre Big Tech, non solo ha sviluppato internamente il proprio sistema di AI (Microsoft si appoggia a OpenAI, Amazon a Anthropic, e Apple sembra essere ancora indietro) ma può contare sul più ampio ecosistema di applicazioni. Tra l’altro, per Google questo è stato un anno davvero straordinario. A Febbraio l’annuncio di Gemini era stato un flop: il tool, troppo “woke” (non riusciva nemmeno a generare immagini di uomini bianchi), era stato ritirato dall’azienda. Negli ultimi mesi, però, l’azienda ha lanciato strumenti davvero impressionanti tra cui NotebookLM, per creare una libreria personale di testi da cui l’AI può attingere, Veo2, il sistema di text-to-video più avanzato sul mercato e Project Mariner, un agente AI in fase di test capace di controllare il browser Chrome e completare attività complesse in autonomia.
Chi vincerà la corsa all’AI?
Ma cos’è ‘sto “new media”? 🎙️
Tra pochi giorni Will Media compirà i suoi primi 5 anni. Una delle cose, che da sempre ci viene recriminata, è di avere la presunzione di poter raccontare la complessità del mondo in cui viviamo attraverso video su Instagram da 180 secondi. Mica come i telegiornali, i cui servizi durano… tra i 90 e i 120 secondi!
Il 2024 è stato l’anno in cui questa narrativa si è rovesciata e finalmente si è compreso il valore e la forza dei cosidetti “new media”. In America questo è stato particolarmente evidente con la “podcast election”, di cui hanno parlato in molti (qui Scott Galloway, Simon Owens, Business Insider).
Entrambi i candidati, ma Trump in particolare, hanno saputo sfruttare il pubblico, gigantesco, di alcuni creator online, fin’ora considerati superflui nel poter muovere l’opinione pubblica. L’approccio di Trump è stato da case study: negli ultimi mesi di campagna si è affidato ai cosidetti bro-caster (che nella definizione del Financial Times, che l’ha scelta come parola dell’anno, sono “creator anti-woke, che si comportano in modo lezioso e sessista, e che risultano più presuntuosi che divertenti”) apparendo in più di 15 podcast tra giugno e fine ottobre.
Indipendentemente dalla nicchia scelta da uno o l’altro candidato, apparire su quegli spazi era importante tanto quanto (o addirittura di più) che apparire in televisione. Ma il solo fatto di esserci non garantisce il successo. Come ha scritto Riccardo Haupt in un post su LinkedIn andato virale:
Il punto, però, non è solo che Trump sia apparso in questi spazi (anche Harris ha fatto un tour digitale), ma come si sia mosso. Ha parlato alle community come uno scafato influencer in cerca di cross-promo, rispettandone linguaggi e valori: con Ross ha ballato, con Von ha scherzato sulla droga, con Rogan ha parlato di wrestling e MMA. Non ha avuto l'approccio di chi si siede in un salotto TV, guarda in camera e ripete la sua manfrina secondo il canone classico da broadcaster generalista. Al contrario ha seguito un approccio taylor made; si è adattato e legato alla figura dei vari creator/guru capaci di vendere qualsiasi cosa e si "fatto vendere” come avrebbero fatto con un integratore alimentare qualsiasi.
Oggi gli spazi digitali non sono più così marginali: come rappresentato nel grafico qui sopra, un singolo episodio del podcast di Joe Rogan ha un pubblico 2 volte più grande di quello che guarda il primetime delle principali emittenti televisive americane.
Il settore dei podcast è una delle industry più interessanti. Tra il 2021 e il 2023 ho guidato la crescita della unit podcast di Will, vedendo dall’interno l’esplosione di questo mercato in Italia. Oggi nel nostro Paese ci sono più di 17M di ascoltatori di podcast e, solo su Spotify, gli ascoltatori sono cresciuti del 40% nell’ultimo anno. Chora Media, come tante altre, è l’esempio che è possibile costruire un’intera azienda su questa industria. Ma pure singoli titoli - come anche Actually - dal punto di vista dei ricavi (derivanti da pubblicità, ospitate, live, eventi e tutto un ecosistema media che si può costruire intorno al singolo titolo), potrebbero tranquillamente essere considerati piccole aziende.
Recentemente Scott Galloway ha condiviso i numeri impressionanti dei suoi podcast: Pivot ha generato $10 milioni di fatturato nel 2024, Prof G $6 milioni cresce del 40% all'anno, Raging Moderates potrebbe raggiungere i $2 milioni l'anno prossimo. Naturalmente, questi numeri sono impensabili in Italia oggi, ma gli Stati Uniti spesso rappresentano una sorta di anticipazione di ciò che potrebbe accadere anche da questa parte dell’Oceano nei prossimi anni.
Numeri giganteschi che però vanno misurati: dei 600k podcast che producono nuovi contenuti ogni settimana, i 10 più ascoltati generano da soli metà delle entrate dell’intero mercato.
Quanta fatica ste startup… 💡
Questi dati, provenienti dal report “The State of VC in Italy in 2024” e presentati da Yoram Wijngaarde, founder di Dealroom, durante l’Italian Tech Week a Torino, dimostrano che gli investimenti di venture capital nel 2024 sono stato i secondi più alti di sempre. Dopo l’outlier del 2022, gli investimenti continuano a salire.
Certo però che è fondamentale che il Governo sostenga questa crescita. La web tax, proposta in bozza di legge di bilancio, che prevedeva di tassare il fatturato (no gli utili, il fatturato!!) di tutte le aziende che lavorano nel digitale (eliminando i limiti finora esistenti, per cui la tassa si applicava solo alle multinazionali che facevano ricavi complessivi superiori a €750 milioni l’anno, di cui almeno €5,5 milioni realizzati in Italia) era una follia vera e propria. Per prima cosa “tutte le imprese che vendono servizi digitali in rete” era una categoria troppo ampia e assurda. Ma la cosa più importante era la follia di voler far tassare il fatturato. Il fatturato non è indice di capacità contributiva di un’impresa: le imprese pagano le tasse sull’utile, cioè, semplificando, sul profitto effettivamente realizzato dopo aver sottratto tutti i costi e le spese sostenuti durante l’anno.
Le startup, poi, hanno spesso bisogno di più tempo per realizzare un utile e nei primi mesi (anni?) chiudono in perdita, cercando il proprio posto nel mercato (Product Market Fit), o sviluppando una tecnologia che potrà essere commercializzata solo in un secondo momento. È per questa ragione che hanno bisogno di investimenti esterni per riuscire a sopravvivere.
Una norma del genere, oltre a essere un deterrente per gli imprenditori, avrebbe reso le nostre startup meno attrattive per gli investitori (soprattutto quelli esteri) che, a parità di condizioni, avrebbero preferito investire in un’impresa non italiana priva di questo “svantaggio” iniziale.
La proposta è stata eliminata dal testo approvato, ma la necessità di una politica chiara per sostenere questo settore, rimane!
Questo episodio di Technicismi è finito. Da Gennaio, all’interno di questa newsletter troverai una raccolta di tutto quello che ho letto, guardato, ascoltato, imparato ogni settimana.
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Bravo! Ricevo millantamila newsletter: questa mi sembra la più utile e la più sensata. Grazie.
Grande ritorno!